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Decimo dono: il sacrificale da dirci e da fare.
Volontà sacrificale terrestre passiva inimicale sul bene
inerente dell’umana autorità. *) Monopolio del potere.
Potere e potenza. L’umana bene conosciuta, non così la
divina, che l’uomo biblico pensa simile all’umana coefficientata
al massimo. Una potenza che non regge alle
prove dell’impotenza e crolla.

Pneumatica magia quella del Visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Ci si accosta pregandolo. Quando pregate, voi
dite: Padre nostro che sei nei cieli. Sia fatta la tua volontà
sacrificale, la celeste e la terrestre. Preghiera tutta sacrificale
questa, da dirci e da fare. Il Padre vuole il sacrificale
suo celeste. Vuole pure il terrestre: il suo e il nostro: attivo
e passivo; il cosmico e l’inimicale. Il nemico ci può
sacrificare: i beni componenti, aderenti e inerenti: dignità
e autorità umana. La divina è sacrificale, la genitoriale è
egoisticale. E l’ecclesiale? Col decentramento del sacrificale,
ne viene una catena di interventi egoisticali, tutti
monopolizzatori. Passiamo all’ultimo anello: il sesto: il
monopolio del potere. Per prima cosa dobbiamo fissare il
significato di due termini ricorrenti: potere e potenza.
1) Potere: quella capacità operativa sugli altri che consente
possibilità di azione in uno specifico settore. I settori
sono molteplici: religioso, politico, economico, sindacale.
Essi ci danno il potere politico che a sua volta
va in molte suddivisioni: potere legislativo, potere esecutivo,
potere amministrativo, potere giudiziario. Ci
danno pure il potere economico, il potere sindacale.
2) Potenza: è data dalla somma di tutti i poteri. I poteri
incarnati in una nazione ci danno la potenza nazionale.
Quando una potenza nazionale supera quella delle
altre, allora parliamo si superpotenza. L’umanità ha
conosciuto bene e esperimentato la potenza umana: chi
la esercita e chi vi soggiace. È la sua condizione di vita.
Non così bene conosceva la potenza divina. In assenza
della sua manifestazione, la persona religiosa biblica si
è sforzata di darsene un’idea.
Come fa? Prende a immagine la potenza umana, l’ha elevata
alla massima coefficienza e poi l’ha collocata in Dio. Ne
è risultato un Dio forgiato alla maniera umana. In terra un
uomo potente. In cielo un Dio Onnipotente. Un grande istinto
religioso ha avuto l’ebraismo quando riconobbe in Dio
una potenza strettamente e esclusivamente personale: la sua
potenza creatrice. Tutte le altre sono di attribuzione umana:
la potenza legislatrice, la potenza minacciante, giudicante,
vendicatrice e punitiva. Da questa è venuta la descrizione del
peccato e la spiegazione della morte fisica. Un comando
proibtivo, una minaccia punitiva, un giudizio applicativo e
una condanna definitiva. Un Dio simile fu facile chiamarlo
Signore. Uno che si muove liberamente da assoluto e unico
dominatore nell’esercizio dei suoi poteri. Dio Onnipotente.
Così l’abbiamo creduto e non disponevamo di nessun’altra
conoscenza che fosse migliore di questa. Noi stessi ce ne
accorgiamo che un Dio simile non regge in tutte le situazioni
che incontriamo. Davanti ai tragici eventi cosmici, davanti
ai genocidi, davanti al dilagare di ogni forma di violenza,
davanti ai massacri di popoli interi, davanti alle efferatezze
sui bambini, noi siamo assaliti da un forte dubbio: dov’è
l’onnipotenza divina che ci hanno fatto credere, capace di
fermare la mano omicida? Dobbiamo dire: inutile invocare
perché in Dio. Che potenza è la sua?

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